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Allorfano

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Mio figlio avrà nome

Enoja, recherà

nel ventre l’ultimo avverbio

di un dolore da seme:

 

soffrirà la stessa sciagura

bianca, della

atroce maestà dell’acqua

malata. Noi, umiltà

e arcano, invochiamo

 

l’eterno scolaro, l’eterna

gioia dell’esca: il cilicio

mortifica il verme e trapassa

la carne dell’astro.

 

Se il verso, la parola

è nell’ordine dell’angelo, è

lo strascicare della lingua sulla forma.

 

Prima che Enoja avvenga, sia

una pioggia nera sul cuore

della madre; sia

l’ingenuità del passero ferino:

 

meraviglia dell’orefice è l’ancora

vergine cerchio e la mano: v’è davvero

una frottola bianca al principio

del tutto? v’è davvero

la bizzarria d’una luce corrusca?

 

La legge è la parola, la parola

è la legge, la legge

annienta, mastica, ed è polvere

dell’uomo e della carne.

 

Fiore ostinato d’autunno, rendi

lo stupore allo stupore; avvieni

nel dominio della gioia capovolta:

 

vorrei una farfalla altrettanto

ostinata morirmi

sulla lingua, l’audacia

di mio figlio orfanello;

 

vorrei l’oro e l’argento

della prima creazione, della

menzogna il cui nome

è celato nel libro. Eppure

so che il verso è la memoria:

 

 prima che io bussassi ed entrasse la carne*

già fummo Enoja, già fummo

l’albero barbaro e il nulla

alla radice del punto.

 

Auspico, da una carne segreta,

un nuovo olocausto che sia

l’assalto dell’uomo al giardino. 

*D. Thomas

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 Mattia Tarantino - 05/11/2017 14:48:00 [ leggi altri commenti di Mattia Tarantino » ]

Cara Leonora,
oramai non so più come chiamarti, ed è bellissimo.
Il giardino, e prima del giardino il recinto. Paradeiza questo vuole dire, paradeisos lo addolcisce. Ma noi siamo nell’hortus conclusus. Il mio augurio è quello di prenderlo, di farlo nostro, di renderlo luogo di sguardo e comprensione. Ed è bello sapere di non essere soli

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